Chiunque scriva per altre persone – intendo “al posto di” ma anche “per un destinatario specifico” – e intenda farlo con uno scopo, vive ogni volta un’esperienza diversa.
Per riuscirci bene, scatenare un’emozione o una riflessione, è necessario immedesimarsi sia nel destinatario del nostro testo sia nel nostro cliente, che ci chiede in prestito parole per esprimere quello che lui vuole.
Siamo tutti un po’ attori quindi.
Mio marito non si fida degli attori, “riescono a farti su come un salame perché sanno piangere a comando”, dice.
Né io né lui sapevamo che avesse sposato una rappresentante della categoria, fino a che ho incontrato Gianni.
Gianni è il regista della compagnia di teatro contemporaneo che ho conosciuto grazie a Roberta Tafuri, collega graphic e visual designer con cui collaboro ogni volta che posso.
Gianni ha un sorriso accogliente e due occhi affamati (di cosa non si sa, credo siano onnivori), è visceralmente ricettivo agli stimoli che gli arrivano dall’esterno, ma è anche generoso in egual misura.
Tra gli impegni del mio lavoro che preferisco ci sono le nostre call, perché lui e Roberta mi riempiono di input, mi comunicano il messaggio della newsletter del mese ponendo limiti solo di circostanza e alla fine concludono sempre con “ok, questo è. Ora fai tu”.
La parte più importante del lavoro di una copywriter è la progettazione, perciò il lavoro con loro è un po’ destabilizzante per me; infatti dopo aver elaborato i loro spunti inizio a scrivere come facevo da ragazza, ovvero senza una meta precisa. Succedono sempre cose interessanti.
Ogni KOMPOST – così hanno chiamato la loro newsletter – tratta un tema legato al teatro senza parlare di teatro ma piuttosto di società, essenze, percezioni, con l’intenzione di rigenerare e riutilizzare tutto, soprattutto gli scarti, per creare qualcosa di bello.
Quando Gianni e Roberta mi hanno raccontato la loro idea, era talmente fuori dalle righe che mi è servito un po’ più tempo del solito per trovare un’identità verbale adatta al personaggio che avrei dovuto interpretare per loro.
È servita più di una call, finché Gianni ha definito KOMPOST come un anarchico insurrezionalista in pensione.
A quel punto, in qualche modo che non ho chiaro nemmeno io, ho messo la maschera e una volta al mese riesco a ritrovarla per interpretare questo signore/cosa.
E quando fatico a ritrovarla penso a Vittorio Sgarbi.
KOMPOST è nato da poco ma è stato accolto con entusiasmo dagli iscritti alla newsletter del Teatro KAPPAO.
A ogni invio – perciò una volta al mese – Gianni e Roberta ricevono messaggi in privato, anche direttamente al cellulare, in cui i lettori si complimentano per gli spunti di riflessione ricevuti via e-mail e per l’interessante esperimento che hanno deciso di testare.
Dì la verità: sono stata vaga e non riesci davvero a immaginarti come possa essere KOMPOST.
Se muori dalla curiosità di scoprirlo, iscriviti qui e fammi sapere che ne pensi.